Ante mare et terras et, quod tegit omnia, caelum
unus erat toto naturae vultus in orbe,
quem dixere chaos, rudis indigestaque moles
nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem
non bene iunctarum discordia semina rerum
(P. OVIDII NASONIS - METAMORPHOSEON LIBER I, 5-9)
Panini al cheese steak, insalata di granchi e gamberetti surgelati, arancini in scatola con provola e speck, cheese cake, caffè Teo di un sapore inammissibile a Napoli.
Genoveffa guardò fuori dalle finestre di quello stanzone arredato grossolanamente. Un’imitazione quasi perfetta dei più trash fast food americani. Se non fosse stato per il mare. Il mare di Monte di Procida, che la investì.
In mezzo a quell’accozzaglia di oggetti di plastica lucidissimi si sentì a casa.
Il sale umido d’un tratto esalò dagli infissi bianchi e verdi a strapiombo sul blu.
Disinfettò i pezzettini di carne rappresa che stazionavano da decenni nel suo cervello, attaccati com’erano a pensieri slegati, sulla cui natura aveva già indagato troppo, all’incirca tutta la vita, senza riuscire a liberarli dalla loro prigione di neuroni imputriditi.
Le acque infernali del lago d’Averno, le acque di fuoco, ribollivano nel ventre dell’oceano Tirreno e quel fluido salato le colò dappertutto, fuoriuscendo da ogni orifizio.
Mentre addentava il panino imbottito di nuvole e di scogliere a precipizio sul tutto, due gocce calde e salate scesero a bagnare la mollica.
Il liquido abisso fu dentro e fuori di lei. Corse più veloce del pensiero, della paura, del dolore .
Respirò il vapore salmastro che graffiava le sue lenti spesse, meno cinque diottrie.
Conchiglia tra le conchiglie del mare, cefalo, polipo, seppia, corallo, alga.
Visse, morì, risorse nel ventre del tempo. In un unico attimo bagnato.
Figlia e operaia di una fetale fucina. Finalmente al caldo e al freddo. Libera.
La metamorfosi fu rapida e multiforme. Fluida… ante mare et terra et quod tegit omnia caelum unus erat toto naturae vultus in orbe, quem dixere chaos… Improvvisamente si infilò nella sua conchiglia vuota, arenata tra gli anfratti del suo cappotto Desigual.
E da lì continuò a sentire la carezza del mare sul suo carapace fantasma, mentre ancorava forte le zampette al fondo sabbioso. Al silenzio e al sicuro.
Lui guardava due occhietti tristi da paguro illuminare il buio di un piccolo anfratto, che ormai aveva imparato a conoscere e a percorrere senza torce.
E tacque lungamente.
Con la sua eloquenza silenziosa le sfiorò la solitudine umidiccia e sorrise.
Monte di Procida. Sunrise.
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