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È una sindone. Sbiadita. E dentro non c’è nessun dio...
(Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione)
Napoli, Santa Chiara 13/03/2010
Dava le spalle all’assemblea mentre il custode del ciborio delirava da almeno mezz’ora sul figliol prodigo e il perdono è un atto cristiano e accogliere la pecorella smarrita e lasciare le novantanove...
Il signore invasato dalla sacra forfora allargava di continuo le braccia, le alzava e fissava il cielo senza nuvole dell’antico tempio del Signore. E dall’ultima fila della lunghissima navata centrale invocava il suo Dio.
Il posseduto vestito a festa sotto il crocifisso proprio non riusciva a far scendere il suo Cristo dall’altare maggiore fino allo spiritato delle retrovie.
E allora quello non si inginocchiava e non si alzava ai comandi perentori dell’altoparlante, e ora in piedi, e ora seduti…
Stretto nel suo giubbotto nero a macchioline bianche volatili, pregava il suo nume senza perdere mai d’occhio le buste, disposte ordinatamente ai suoi piedi: una arancione, una blu, un’altra arancione.
Di tanto intanto si carezzava i pidocchi, cotonati per l’occasione della domenica e ben incollati da brillantina a buon mercato. Forse neanche da brillantina, forse da un umore che il corpo, pietoso, secerneva. Per dargli un aspetto dignitoso al cospetto dell’Onnipotente, chiunque fosse.
Si alzò e si girò solo al Padre Nostro. Si accostò un bambino bruno a chiedergli 50 centesimi, lui allargò nuovamente le braccia in un gesto consueto e multiforme, questa volta per dire “Mi dispiace, io non ne ho davvero”.
Una ragazzetta orientale dalle scarpe intermittenti saltellava lungo la navata maggiore, infilandosi in ogni banco. La sua mamma orientale la ricorreva, si genufletteva, anch’ella a intermittenza, in segno di scusa e di ostentata devozione. La piccola fosforeggiante si insinuò anche nel banco dell’uomo pezzato di bianco e nero. Scompigliò i suoi sacchetti. Lui non la guardò neppure. Li rimise in ordine. La madre orientale non ritenne opportuno inginocchiarsi davanti a lui né accanto a lui.
Il domatore di parassiti spostò le buste in un cantuccio più sicuro, si infilò un dito nell’orecchio destro, ne tirò fuori due o tre pietre di ambra e le offrì, insieme alle sue scuse, a una mano senza testa durante l’offertorio. Alzò la gamba sinistra nel gesto istintivo di fare la pipì, come aveva imparato dagli anni di convivenza con il suo cane, che non lo aspettava più fuori, ormai da mesi.
Ma non fece pipì nella casa di Dio.
Neppure tese la mano nel gesto di pace, non chiese e non ricevette. Però guardava di sottecchi delle dita piene di anelli, mani tutte dorsi e niente palmi. Capelli gialli che, con i loro effluvi, spegnevano l’odore rassicurante della sua casa da passeggio.
Una damina ottantenne, dietro la sua maschera di ombretto appiccicoso, sotto una paglia infuocata e laccata, baciò il rosario col rossetto liquefatto, poi lo agitò sotto gli occhi della ragazza della penultima fila, come un avvertimento. Anche la vecchia signora colorata malamente aveva una busta arancione. E non voleva che qualcuno gliela adocchiasse.
L’inquilino dall’alloggio mobile assestò un colpetto ai suoi succhiatori senz’ali. Infastidito, alzò la voce per coprire quella della vecchia col rosario. Poi la alzò di più. Il giovane corista, un ragazzo serio e troppo occhialuto, sfoggiava le sue suppliche canore per arrivare a Dio prima di tutti. L’uomo dai capelli pieni di vita si spostò a destra. I suoi afidi brillanti furono inondati dalla luce delle vetrate. Poté prolungare e fortificare la sua preghiera.
Allora ripeté più volte “Sia fatta la volontà di Dio… Dio, perdono… Dio perdona”.
Poi si benedisse da solo con gesto pontificale. Si abbandonò finalmente al canto, muovendo lente le mani alla litania dell’organo. Ma il cantore spiegò nuovamente le sue corde vocali, in segno di sfida. E il cittadino di troppi mondi sussultò.
Le stanze arancioni e blu della sua non fissa dimora risuonarono più forte, senza fantasmi -Padre pietà, pietà di me.
Più forte e più inutile.
Un dio fantasma pioveva dall’altare, rapprendendosi in un sudore di nevischio sulle tempie del condomino in pianta instabile…
Il sacerdote rubò nuovamente la parola e la scena.
-Prima della benedizione finale alcuni avvisi…- (5 minuti di avvisi) bla bla bla Inoltre martedì diciannove ci incontreremo dalle sorelle Clarisse per il momento della lectio divina sul Vangelo della domenica successiva che….- (altri 3 minuti).----- (2 minuti)… e perciò desidero anche augurare, in nome della comunità francescana una santa domenica e un cammino quaresimale fecondo perché il vostro cuore si rivolga fiducioso all’amore di Dio e…- (3 minuti) -Il nostro è un Dio di pace e amore, è un Dio che è venuto verso di noi, perché noi non avevamo la forza di andare verso di Lui….- (smise di fare calcoli sulle dita conservate in tasca). Fratelli, coraggio, nelle difficoltà… nell’amore della famiglia… pranzo pasquale… non disperarsi… … e allora volgiamo il cuore… amore misericordioso del padre (orami non aveva più sulle dita libere), il Signore misericordioso è venuto verso di noi-(gli sembrò di averlo già sentito)… Abbassate il capo per la benedizione finale (altri 3 minuti).
Poi, improvvisamente… la messa è finita. Andate in pace.
Il giubbotto Times nero puntellato di coriandoli bianchi ammainò le maniche.
L’uomo benedetto non rese grazie a Dio. E non si mosse. Non sapeva dove andare. Né a quale pranzo partecipare. Aveva smesso di sfidare le preghiere altrui, le preghiere troppo intonate, senza Dio. Aveva smesso di ignorare mani senza carne, mani tutte unghie.
Aveva ricevuto in faccia un dio, come un giavellotto vibrato con forza. Aveva combattuto, vinto, perso, aveva voltato le spalle ed era risceso in campo. Ora, con il viso dolorante, la chioma ammainata sotto il peso di un amore misericordioso, una lectio divina, un fecondo cammino quaresimale e ricevete la benedizione e abbassate il capo e andate in pace e no, restate altri cinque minuti per i dodicimila avvisi finali… restava nel suo banco. Senza pace. Non sapeva dove andare, in pace con chi andare. Nessuno lo sfidava… Nessuno gli apriva la mano per offrirgli in prestito il suo dio.
Tastò le borse. Loro, per fortuna, erano lì, piene di tutto il necessario. E Dio, forse, si era nascosto nella busta arancione o lo aspettava su uno dei tanti sampietrini di via Benedetto Croce o di piazza del Gesù, con i suoi occhi pelosi e solitari.
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